L’estate sta finendo e un anno se ne va. Così cantavano i Righeira nel 1985. Altri tempi, ormai le vacanze sono brevi e frammentate nel tempo. E infatti, bravi figli dei nostri tempi, anche noi Pinte facciamo vacanze molto brevi. Come ad esempio la nostra recente due giorni nel capoluogo salentino, Lecce. La Firenze del Sud come la chiamò Ferdinand Gregorovius, un’espressione che i suoi abitanti iniziano a percepire con un certo fastidio, come abbiamo avuto modo di chiedere direttamente loro. Hanno anche ragione, eh. Come vi sentireste voi se vi chiamassero sempre “l’Alberto Angela di Roccalumera”? All’inizio può far piacere, poi inizia a rodervi il c***o. Ad ogni modo, questo è l’assolutamente non richiesto racconto della nostra improvvisata vacanza.
Scusi, dov'è il mare?

Prendiamo un treno regionale nella stazione di Bari centrale in tarda mattinata e due ore dopo siamo a Lecce, intenti a ricercare il nostro alloggio. Neppure il tempo di fare cinquanta metri che un omone con indosso la divisa della nazionale di calcio tedesca ci ferma chiedendoci in un italiano abbastanza fluente “Scusate, dove andare per mare”? Lo sappiamo, il Salento è la meta marittima più in voga degli ultimi dieci anni. Ma con grande dolore siamo costretti a rivelare il grande inganno dei Poteri Forti al pover’uomo, tedesco di maglia ma probabilmente balcanico di nascita: a Lecce, il mare non esiste. Non abbiamo neppure idea di dove sia la spiaggia più vicina da lì (ora lo sappiamo, è San Cataldo: questo è per voi, futuri ignari turisti germano-balcanici ingannati dai Poteri Forti!).
Una volta sistemati, notiamo subito la cappa afosa che opprime la bella città barocca. Ma avevamo delle priorità: 1) incontrare Anastasia, nostra amica e collega che per l’occasione ci funge da Virgilio, che dato il caldo è un paragone azzeccato; 2) procacciare nutrimento. Troviamo il nostro Virgilio in piazza Duomo, il centro del centro storico. Un saluto rapido, perché poi le tocca lavorare al castello cittadino e non volevamo farle perdere tempo prezioso. Le chiediamo qualche dritta su dove procacciare cibo tipico e ci diamo appuntamento alle 18.30 nella piazza d’armi del suddetto castello. Il turismo di massa, però, ha fatto i suoi danni anche qui: tante pizzerie dal dubbio gusto, lounge bar fighetti e kebabbari, ma nessuna traccia di una pucceria (la puccia è il pane tipico del Salento).
L’unica che la nostra Virgilio ci ha indicato pare una bolgia da inferno dantesco per quanta gente c’è in attesa e perciò preferiamo girare a largo. Solo verso le 14.30 troviamo infine un luogo riparato, lontano dal flusso turistico, che ci serve l’agognata pietanza insieme ad una bella birra fredda, nostro marchio di fabbrica e piacere irrinunciabile sotto un sole inclemente. Ma il caldo è davvero atroce, sicché optiamo per una ritirata strategica al nostro alloggio. Ne usciremo solo dopo le 17.00.
Il castello dell'imperatore

Alle 18.30 ci ritroviamo al castello Carlo V, di cui esploriamo le prigioni, i sotterranei e i bastioni. Scopriamo così tante cose interessanti. Una su tutte, l’ennesima bugia dei Poteri Forti: il castello - pur portando il nome dell’Augusto Imperatore - non ospitò mai l’uomo su cui impero mai tramontava il sole. E se per questo, a quanto pare non lo ha mai pagato! In compenso però scopriamo la storia di Gian Giacomo dell’Acaja, architetto militare ufficiale del Regno di Napoli che tirò su questo come tanti altri castelli in giro per il Mezzogiorno e non solo. A quanto pare, la totalità dei danni al nucleo tre-quattrocentesco del castello sono opera sua. Ancor oggi le cisterne del castello vengono regolarmente riempite dalle lacrime dei medievisti che lo visitano. Ma non temete, amareggiati medievisti, il karma vi ha vendicato: accusato di morosità, il Giangiacomo fu imprigionato nelle prigioni del castello da lui stesso costruito, morendovi dentro. It’s Karma, baby!
Non vi spoileriamo tutte le chicche della visita, ma vogliamo raccontarvi del nostro imbarazzante momento Signore degli Anelli sul Bastione di Santa Croce. Dai camminamenti del castello si vede distintamente il campanile del Duomo, il punto più alto della città da dove si può vedere il mare. Come confermato dalla guida, il suo scopo non era solo ornamentale: le torri costiere sparse lungo le coste pugliesi, in caso di sbarchi nemici di corsari barbareschi o truppe ottomane avrebbero lanciato segnali di fumo (di giorno) o acceso fuochi (di notte) per allertare Lecce. La sentinella sul campanile avrebbe a sua volta allertato i centri di segnalazione dell’interno, portando il messaggio fino a Napoli in breve tempo nel caso di sbarchi in forze. La nostra fervida - ed improvvida - fantasia ci ha portato a ricreare la celebre scena “Gondor chiede aiuto” (Il Ritorno del Re) in versione meridionale:
- I fuochi di Terra d’Otranto sono accesi! Lecce chiede aiuto!
- E Napoli risponderà.
Per fortuna, la cena a base di puccia, crostoni e birra locale con la nostra amica nei pressi della chiesa di rito greco di San Nicola ha provveduto a cancellare l’imbarazzo della cosa, lasciando solo la parte divertente.
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